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Il paradosso delle mostre immersvie

Aggiornamento: 4 feb

Alla base del mio pensiero c'è una riflessione sul termine immersivo. Emerge come in realtà essere immersi in qualcosa non è necessariamente connesso all'uso di strumenti digitali.


Cosa significa davvero “immersivo”?

Il termine “immersivo” evoca l'idea di un ambiente nel quale si entra completamente, rimanendone avvolti e catturati. Non si tratta semplicemente di un'esperienza visiva, ma di un’immersione totale che coinvolge corpo e mente e tutti gli altri nostri sensi, oltre alla sfera emotiva.

Klimt Experience
Klimt Experience
Il mito della mostra immersiva e la sua critica

Le mostre multimediali immersive, così come vengono concepite oggi, si propongono come esperienze in cui l’opera d’arte viene sostituita dalla sua immagine digitale, trasformata in un’opera in sé grazie a tecnologie avanzate: luci, suoni, proiezioni a 360° e installazioni audiovisive che dovrebbero “inghiottire” lo spettatore in un universo parallelo. Tuttavia, ciò che viene offerto raramente corrisponde alla promessa contenuta nel termine "immersivo": non si tratta di una vera e propria immersione nella storia e nel contesto dell'opera, ma di un gioco di seduzione tecnologica volto a catturare l'attenzione e, soprattutto, a massimizzare i profitti derivati dalla vendita dei biglietti (il cui costo è spesso molto alto).

Il successo commerciale di format come Van Gogh Alive o Caravaggio Experience ha spinto molti organizzatori a replicare formule che, nel loro nucleo, non fanno altro che sostituire il contatto diretto con il manufatto artistico con un’esperienza emozionale superficiale di "opere" realizzate dai soliti artisti mainstream. L’idea di "inghiottire" il visitatore in un’esperienza totalizzante, come nei casi di proiezioni monumentali e installazioni multimediali, perde di vista il vero potenziale educativo dell’arte, riducendola a un prodotto di intrattenimento.


La seduzione del digitale e il rischio di una fruizione superficiale

Se da un lato le tecnologie digitali hanno il potere di democratizzare l’accesso al patrimonio artistico e di arricchirne la fruizione (se ben usate), dall’altro rischiano di trasformare l’arte in un elemento di puro edutainment. Le mostre immersive, nella loro corsa all’innovazione tecnologica, sembrano dimenticare che l’esperienza estetica non si esaurisce nell’impatto sensoriale immediato, bensì richiede spazio per la riflessione e il confronto critico.


Van Gogh Experience a Napoli
Van Gogh Experience a Napoli

Il problema delle mostre immersive è un problema epistemologico. Sono stati i musei come gli “science centers” i primi a rivalutare la comunicazione museale in chiave interattiva e immersiva, ma quest'ultimi parlano di scienza (fisica, matematica, meccanica...) che ha una natura epistemologicamente astratta. Questi luoghi culturali infatti offrono interazioni e metodi immersivi per spiegare fenomeni complessi – un approccio che, in linea di principio, potrebbe arricchire la nostra conoscenza. Ma quando questo approccio si applica all’arte, che prevede sempre e comunque un oggetto, con la sostituzione del manufatto originale con una riproduzione digitale, il risultato è una fruizione che svuota il manufatto artistico rendendolo puro simulacro. L’arte si trasforma così in un prodotto di consumo, privato della sua dimensione critica. Va infatti ricordato che tali mostre non sono un prodotto artistico di per sè, ma il tentativo di comunicare con un'estetica tipica dell'arte digitale e multimediale, un'arte storica. Ci sono artisti contemporanei che usano il video-mapping, l'AI o altri mezzi per creare spazi immersivi ma questi possiamo indicarli come opere d'arte in quanto poratrici di messaggi, osservazione e anche di un certo gusto estetico.

Ad esempio Stephanie Dinkins con il progetto Secret Garden.

Stephanie Dinkins, Secret Garden, 2021, immersive web experience
Stephanie Dinkins, Secret Garden, 2021, immersive web experience
Secret Garden is a really different experience. It was a community-generated production. It went through a roller coaster ride of changes. But in the end, my original ideas survived the process. It became a work I’m really proud of, because I felt the project emerged from a battle [over] what is important and to whom. That’s an interesting kind of community generation, because all of us working together in a sometimes convivial, sometimes adversarial way, impact each other. Sometimes you agree, sometimes you don’t, but you’re all working towards this one aim. We’re thinking about it; we’re talking about things. I don’t see how the process doesn’t impact all involved in some small way. These are very different kinds of community generation, but each is important.

Olafur Eliasson, The weather project, 2003, Tate Modern, London, 2003
Olafur Eliasson, The weather project, 2003, Tate Modern, London, 2003
Il paradosso dell’interattività e del coinvolgimento

C'è, indubbiamente, un paradosso insito nelle mostre immersive: se da un lato si propone uno spettacolo coinvolgente e interattivo, dall'altro, l'opera d'arte originale, con la sua storia, i suoi segni e la sua materialità, viene dimenticata. Così come vengono dimenticati gli altri sensi quali il tatto o l'udito fondamentali per una immersione veramente totalizzante.


Quali gli scenari?

Le strategie delle mostre immersive derivano a loro volta dalla pratica artistica e possono essere degli alleati importanti per rinnovare la comunicazione museale e anche dell'arte, a patto che non si sostituisca a quest'ultima.

Una ricostruzione con visori olografici può essere davvero interessante se ha come obiettivo l'aspetto educativo del patrimonio a cui si riferisce. Un'installazione immersiva, con ingrandimenti, video-mapping e suoni, può essere estremamente arricchente a patto che ci sia il dialogo con l'opera o l'oggetto da valorizzare.

Appare chiaro che in una forma o nell’altra il mondo dell’arte debba aprire un dialogo costruttivo, sia con il mondus operandi delle mostre immersive, sia soprattutto con il loro pubblico, cercando innanzitutto di capire se quel profilo di visitatori sia realmente interessato all’immaginario dell’artista evocato (e all’arte in generale), oppure se la partecipazione sia totalmente svincolata dal tema culturale, se quindi non ci sia differenza tra Caravaggio o Klimt e una escape room in VR.


Parigi, Museo di Storia Naturale, Relive Extinct Animals In Augmented Reality
Parigi, Museo di Storia Naturale, Relive Extinct Animals In Augmented Reality

Micropia, Amsterdam
Micropia, Amsterdam

 
 
 

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